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Percorsi di sostenibilità: il report di iSustainability spiega a che punto sono le imprese italiane



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I risultati del Report 2025 sui percorsi di sostenibilità, presentato da iSustainability in occasione del convegno su “La Terza via della sostenibilità” mettono a disposizione una analisi su come le aziende italiane percepiscono e integrano la sostenibilità nel proprio modello di business

Pubblicato il 17 mag 2025

Mauro Bellini

Direttore Responsabile ESG360.it, EnergyUP.Tech e Agrifood.Tech



Percorsi di sostenibilità
Riccardo Giovannini, Founder di iSustainability

Tra negazionismo, normative europee un po’ troppo invadenti e ricerca di una nuova consapevolezza aziendale, la ricerca di percorsi di sostenibilità concreti ed efficaci incide in modo sempre più diretto sulla competitività di qualsiasi organizzazione in ogni settore. E proprio per analizzare questo rapporto, per individuare i punti di forza e di debolezza che caratterizzano le esperienze, le strategie e le prospettive delle imprese, la nuova società del gruppo Digital360, fondata da Riccardo Giovannini, ha scelto di realizzare una ricerca in forma di Report 2025 sui percorsi di sostenibilità che è stata presentata in occasione del convegno su “La terza via della sostenibilità“.

La ricerca nasce dalla consapevolezza diffusa di quanto sia importante il legame tra sostenibilità, impatti ambientali/sociali e business e dall’alta percentuale di aziende che vedono l’integrazione tra business e sostenibilità come una chiave fondamentale per la competitività futura. In particolare poi lo studio punta a evidenziare come le sfide culturali ed economiche della sostenibilità unitamente all’importanza del dialogo con gli stakeholder e al ruolo del digitale e dei dati, possono abilitare nuove forme di competitività che vanno però costruite sulla base di progetti che devono spingere le imprese e non vedere la sostenibilità solo come una “compliance”.

Percorsi di sostenibilità: il report di iSustainability

Riccardo Giovannini, Founder di iSustainability, nel presentare i risultati del Report 2025 sui percorsi di sostenibilità ha voluto portare subito l’attenzione su come le aziende italiane percepiscono e integrano la sostenibilità nel proprio modello di business per contribuire a una “migliore conoscenza e condivisione di informazioni su come la sostenibilità viene percepita e vissuta”.

Giovannini ricorda come il titolo stesso dell’evento che richiama a una “terza via”, sia nato dalla volontà di trovare un approccio equilibrato o una sintesi tra gli “estremismi concettuali” attuali. Da un lato, il “negazionismo” che è riemerso e che sta influenzando alcune aziende che hanno scelto di cancellare iniziative legate alla sostenibilità. Dall’altro, l’Unione Europea che si è “incartata” su normative complesse, su una burocrazia che rischia di bloccare le imprese, creando creando in molti casi dubbi e incertezze. (Si leggano a questo riguardo gli articoli su Bilancio di sostenibilità, Rendicontazione di sostenibilità e sul Pacchetto Omnibus e sul rapporto tra Omnibus e business n.d.r.).

Rimettere la sustainability al centro prima di far partire i percorsi di sostenibilità

La ricerca è stata condotta coinvolgendo oltre un centinaio di interviste ad aziende, su un campione stratificato per dimensione (sotto 150 milioni, 150-500 milioni, oltre 500 milioni di ricavi) e su diversi settori, ed è stata presentata partendo dal presupposto, come ha sottolineato Giovannini di voler “rimettere la chiesa al centro del villaggio”, ovvero concentrandosi sulla sostenibilità come mezzo per le aziende che intendono mantenere o aumentare la propria competitività riducendo gli impatti. Una sfida questa “tanto facile da pronunciare quanto difficile da mettere a terra“.

PERCORSI DI sostenibilità

Difficile, ma come sottolinea più volte Giovannini, certamente possibile e necessaria. E a questo proposito il suo richiamo va alle teorie e alle prassi standardizzate che rendono possibile la riduzione degli impatti e un miglioramento della competitività.

La ricerca ha indagato comportamenti e consapevolezze, focalizzandosi sui modelli di business come strumento principale per ridurre gli impatti ambientali e sociali e per far partire percorsi di sostenibilità. Giovannini non manca di rimarcare come un modello di business intrinsecamente meno impattante è da considerare più efficace di “accorgimenti” e interventi che cercano di correggere gli impatti.

I dati del report che tracciano i percorsi di sostenibilità

Tra la sostenibilità come compliance o come leva di competitività il campione è ancora indeciso. Per il 56% degli intervistati, la sostenibilità è un tema che al momento va equamente suddiviso tra gli impegni legati alla conformità normativa e le opportunità e prospettive della competitività.

Percorsi di sostenibilità
Fonte: Report 2025 sui percorsi di sostenibilità di iSustainability presentato in occasione del convegno su “La terza via della sostenibilità”

Quali sono poi le principali motivazioni per l’integrazione tra sostenibilità e business? Si domanda Giovannini per poi analizzare i risultati e le risposte della ricerca. Ed esce come reputazione e posizionamento siano sdoganati come driver, unitamente alla risposta alle normative (spesso la metà delle risorse dedicate alla sostenibilità nelle grandi aziende si occupa solo di reporting di sostenibilità) e infine, aspetto decisamente da sottolineare, la richiesta del mercato e dei clienti.

Un altro segnale forte arriva dal 93% degli intervistati convinto che ci sia una stretta connessione tra sostenibilità e impatti ambientali e sociali, un dato uniforme per settore e dimensioni.

Una quota molto importante pensa poi che, in relazione ai percorsi di sostenibilità, si debba parlare di sostenibilità integrata nel business, così come è importante la quota di coloro che ritengono che il modello di business sia la leva più importante sulla quale agire per essere sostenibili e per gestire gli impatti.

Percorsi di sostenibilità
Fonte: Report 2025 sui percorsi di sostenibilità di iSustainability presentato in occasione del convegno su “La terza via della sostenibilità”

Una cultura aziendale che deve guidare i percorsi di sostenibilità

Il dato sulla cultura aziendale è anch’esso “molto elevato”, con una grandissima condivisione sulla centralità della conoscenza come strumento fondamentale per integrare la sostenibilità nel business. E come spiega Giovannini, senza l’impegno del top management e senza una vera condivisione dei contenuti nella struttura, procedure e strategie non funzionano.

Un dato che solleva qualche preoccupazione e sul quale prende forma un invito a riflettere: solo il 54% delle aziende afferma di conoscere l’impatto ambientale del digitale. Questo evidenzia quanto la conoscenza corretta su temi diffusi sia in realtà più bassa del previsto.

Il futuro della sostenibilità e la sostenibilità del futuro: cosa accadrà tra 5 anni?

Riguardo poi a cosa accadrà tra 5 anni se non si integra la sostenibilità nel business: il 67% delle aziende pensa che ci sarà un impatto sulla competitività. Questo dato, che Giovannini sottolinea essere più alto del previsto, indica che le aziende sono consapevoli che la sostenibilità riguarda il futuro del business. Questa consapevolezza è più diffusa nelle medie e piccole imprese rispetto alle grandi. Tuttavia, la consapevolezza non garantisce l’azione; la “messa a terra” è in realtà la vera sfida successiva.

Percorsi di sostenibilità
Fonte: Report 2025 sui percorsi di sostenibilità di iSustainability presentato in occasione del convegno su “La terza via della sostenibilità”

Cosa potrebbero fare concretamente le aziende in futuro: il 47% indica la necessità di una maggiore integrazione con gli stakeholder, contrapposto al 38% che indica l’allineamento del modello di business agli impatti. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma è consistente con la realtà di molte imprese che devono inserirsi in filiere dove gli stakeholder si muovono nella stessa direzione per essere efficaci.

Per quanto attiene poi agli ostacoli all’integrazione per le imprese i più frequenti sono culturali, organizzativi, economici, legati alla disponibilità di risorse e alla disponibilità di competenze e know-how. Ecco, che anche su questi aspetti il fattore culturale ritorna centrale.

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